Forlì News

…considerazioni di carattere generale di un forlivese di adozione.

Martedì, 7 aprile 2009

Guardo intorno a me e non vedo più il mio amore. Mi manca tanto!

Non sento più i suoi brontolii e il suo sbattere qualcosa per attirare l’attenzione. Aveva tanto bisogno di me ed io di lei, vivevamo in simbiosi. Io cercavo sempre di far filtrare un raggio di luce sulla nostra esistenza per cercare di eliminare quelle ombre che si addensavano sul nostro prossimo futuro. Ci sarò riuscito?  Mi piace credere che sia stato veramente cosi.

L’estate del 2008, l’ultima vissuta insieme è stata bellissima! Era sufficientemente autonoma, si è divertita tanto, con molto poco, con il suo “marino”, il suo sole in spiaggia e il suo gelato “cornetto classico” e alla sera qualche giro in macchina a Cervia, Cesenatico e Milano Marittima. Vita by-nigt. Era stanca ma veramente felice.

Da settembre a dicembre c’è la siamo cavati abbastanza bene, per Natale aveva preparato ancora tutti i suoi “pacchettini regalo” per i suoi “bambini” – Francy e Andrea – Alex e Federica, ed io gli avevo preso anche i regali per i nostri amici. Anche se aveva già fatto la PEG, era contenta di fare tutti quei preparativi. L’ultimo dell’anno eravamo solo io e lei, le avevo preparato addirittura il menù; e lei con il suo modo di fare mi minchionava. Ci siamo divertiti anche a brindare al nuovo anno!

Con il nuovo anno e dopo l’intervento di tracheotomia, è cominciato il nostro purgatorio. Dal giorno che è stata ricoverata, a quello della sua morte, non è più tornata a casa; è stato un continuo vivere incerto, spostarci da un reparto all’altro. Il suo ritorno a casa non è stato più possibile perché richiedeva una continua assistenza qualificata. Cosa che era impossibile avere a casa.

Non ci siamo mai separati, soprattutto nei momenti più bui. Vivevo con lei in ospedale per tutto il giorno e molte notti. Avevo provato a darle un’assistente, ma non lo accettava. Ricordo che a volte, le infermiere, oramai eravamo diventati… amici, mi dicevano: vada a casa a riposarsi; se c’è necessità, la chiamiamo. Sono state veramente carine, premurose e disponibili con me e soprattutto con la Gioi. Non mi pesava niente, lo facevo con amore e passione, e quando dalla luce dei suoi occhioni captavo la sua “gratitudine”, ero veramente felice.

In marzo le cose stavano andando “benino”. Il TEAM SLA, decide di dimettere la Gioi dalla struttura ospedaliera. Dopo vari colloqui e attente e coscienziose valutazioni si è deciso di trasferirla in una struttura residenziale attrezzata e idonea alla criticità del quadro clinico. Dopo varie lotte e con l’aiuto di qualche “amico” inaspettato, ci trasferimmo nella struttura residenziale “AL PARCO”.

Ci siamo trovati subito bene; sotto qualsiasi aspetto.

L’assistenza medica e paramedica era efficiente e umana. Gli amici venivano a trovarla e lei era felice. La Sara, Sandro, Valentina, Terzino, Antonietta, Eleonora, Flavia, don Mino (il suo pretone), e tantissimi altri.

Anche se non mi facevo illusioni, il decorso di questa malattia è terribile, ero confortato dal fatto che vedevo in lei  dei piccoli miglioramenti. Con l’aiuto della fisioterapista e la disponibilità del personale medico e paramedico le vedevo fare delle cose impensabili. Si era deciso, condizioni meteo permettendo, che ci saremmo attrezzati per un’uscita in giardino. Nulla faceva pensare al peggio.

La mattina del giorno sette di aprile le avevano fatto la doccia, truccata e profumata. Il resto della mattinata trascorse normalmente. Alle tredici come al solito, screrzandole, dissi; adesso mi hai rotto vado a casa a mangiare! Lei mi sorrise, la baciai e andai via.

Ero appena entrato nel corridoio del suo reparto quando sento una chiamata al cellulare; era il suo reparto, non risposi, mi avvicinai alla postazione delle infermiere, e chiesi del perché della telefonata. Con la coda dell’occhio vidi la porta della sua camera socchiusa, di solito lo facevano quando il dottore la visitava, oppure le infermiere le facevano la pulizia personale. L’infermiera alla quale avevo fatto la domanda mi guardò. Dal suo sguardo capii che era successo l’imprevedibile.

Mi è crollato il mondo addosso.

Il mio rammarico è stato quello di non essere stato con lei in quel fatidico momento. Eravamo sempre insieme. L’ultima volta che lei aveva avuto bisogno di me, io non c’ero!  Non me lo perdono! Ciao Gioi.

Quando mi chiedono, come va ? Rispondo – bene -. Ma… Ma …

Non lo so!  Non lo so con certezza… e forse questo un po’ mi spaventa.


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